Informativa

Cirillo Miriani

Cirillo Miriani

Giovedì, 07 Settembre 2017 18:48

Cervello, immunità e infiammazione

 

 

Il SNC, insieme a pochi altri distretti anatomici dell’organismo, è un sito immunologicamente privilegiato (santuario immunitario), ovvero un luogo dove in condizioni normali, i meccanismi di immunosorveglianza sono limitati e la risposta immunitaria adattativa mediata dai linfociti non ha luogo. Allotrapianti e xenotrapianti, prontamente rigettati da altri distretti anatomici sono invece in grado di sopravvivere almeno parzialmente, quando impiantati nel cervello, da cui la dizione di sito immunologicamente privilegiato.
Il SNC è privo di vasi linfatici, di organi linfoidi secondari, quali i linfonodi, dove antigenee linfociti si incontrano e, infine, è fisicamente separato dalle cellule del sangue e dalle grosse molecole solubili ad opera della barriera emato-encefalica (BEE).
Quest’ultima è responsabile dell’isolamento del cervello dalle componenti cellulari (linfociti) e molecolari (anticorpi) del sistema immunitario (SI). La BEE è una struttura formata da vasi sanguigni formati da cellule endoteliali specializzate intimamente unite da particolari strutture cellulari, le giunzioni strette (tight junctions) e le giunzioni aderenti (adherens junction), che costituiscono un endotelio continuo.

Tali vasi sono rivestiti da estroflessioni citoplasmatiche degli astrociti, dette peduncoli astrocitari, che contribuiscono a impedire il passaggio di specifiche molecole dal sangue al cervello. La principale funzione riconosciuta alla BEE è quella di mantenere costante la composizione chimica del “milieu” neuronale per permettere il corretto funzionamento dei circuiti nervosi, della trasmissione sinaptica, della neurogenesi e del rimodellamento neuronale.

A tal fine la BEE limita l’entrata nel SNC di componenti del plasma, di globuli rossi e leucociti. Alcuni di questi componenti ematici esercitano un’importante funzione difensiva nei confronti dei processi infettivi che pertanto quando si manifestano nel cervello sono più difficilmente contrastabili dalle difese endogene.

Questo contribuisce a rendere le infezioni del SNC particolarmente suscettibili di un decorso infausto.

Oltre alla BEE, altri fattori sono stati invocati per spiegare il “privilegio immunitario” del SNC. Fra questi fattori i più importanti sono: scarsa espressione delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilitrà (MHC) e assenza di cellule presentanti l’antigene, entrambi essenziali per l’attivazione dei linfociti T helper. Oggi tuttavia diversi dati sperimentali indicano che il cervello è più permissivo a una risposta immunitaria di quanto non fosse precedentemente ritenuto. Innanzitutto è stata dimostrata nel cervello, anche in condizioni fisiologiche, la presenza di un ricircolo di linfociti sia non attivati sia attivati. Inoltre, si è visto che l’esposizione a stimoli infiammatori induce l’espressione di molecole MHC I e II permettendo, così, l’attivazione di linfociti sia di tipo CD8 sia di tipo CD4.

Autoimmunità neuroprotettiva
La visione di un SNC fisiologicamente escluso dalla risposta immunitaria adattativa, è stata addirittura ribaltata da una serie di esperimenti che indicano come i linfociti nel cervellocontribuiscano al mantenimento dell’integrità dei circuiti neuronali e inoltre favoriscano i fenomeni riparativi in seguito a una lesione.

Michal Schwartz dell’Istituto Weizmann, in Israele ha pertanto introdotto il concetto di autoimmunità neuroprotettiva. In precedenza, il concetto di autoimmunità era unicamente legato a condizioni patologiche, quali la sclerosi multipla, il diabete di tipo I o l’artrite reumatoide solo per citare alcune fra le più note malattie. In tali affezioni il SI alterato rivolge contro l’organismo i propri componenti (linfociti o anticorpi) attaccando strutture “self” e danneggiando tessuti e funzioni.

In modelli murini, linfociti autoreattivi per la proteina basica della mielina (MBP) isolati da animali in cui era stata in precedenza indotta una lesione spinale, iniettati in altri animali con una simile lesione spinale, determinavano un miglior recupero delle funzioni neurologiche di questi ultimi.

Inoltre, lesioni del nervo ottico presentavano minor recupero in animali con un sistema immunitario compromesso per la mancanza di linfociti T.

Attualmente sono ignoti i meccanismi mediante i quali i linfociti autoreattivi presenti normalmente nel SNC sano sfuggano al controllo e diventino patologici causando malattie autoimmuni come la sclerosi multipla. Tuttavia si ritiene che un ruolo importante sia svolto dalla sottopopolazione dei linfociti regolatori (Treg) in grado di bloccare la proliferazione dei linfociti attivati e quindi di spegnere o di limitare la risposta immunitaria.
Un’ipofunzione dei linfociti Treg potrebbe far diventare la risposta autoimmune da protettiva a patologica. Infine è stato dimostrato che anche le cellule staminali neurali hanno capacità immunosoppressive essendo in grado di bloccare la proliferazione di cloni linfocitari autoreattivi in modelli sperimentali di sclerosi multipla.

Cassan C, Liblau RS (2007) Immune tolerance and control of CNS autoimmunity: from animal models to MS patients. J Neurochem 100:883–892

Ekdahl CT, Kokaia Z, Lindvall O (2009) Brain inflammation and adult neurogenesis: thedual role of microglia. Neuroscience 158:1021–1029

Sternberg EM (2000) The balance within. The science connecting health and emotions.WH Freeman and Company, New York Yoles E, Hauben E, Palgi O et al (2001)

Protective autoimmunity is a physiological response to CNS trauma. J Neurosci 21:3740–3748

Sabato, 14 Gennaio 2017 17:37

Lesione meniscale interna

LESIONE MENISCO

Il menisco interno ha un grande corno posteriore. Il corno anteriore non ha, invece, alcun ruolo fisiologico e in genere non può essere leso. Il menisco esterno può, invece, presentare una lesione del corno anteriore. Una confusione sembra esistere tra le lesioni del corno anteriore del menisco interno e quelle del menisco esterno;  Il menisco interno, al contrario di quello che è stato spesso scritto, non ha alcun ruolo di trasmissione di pressione tra il femore e la tibia. Quando subisce tali pressioni, si strappa e si rompe in lunghezza. 

Il menisco interno ha talvolta un ruolo nel controllo laterale e particolarmente nel controllo della rotazione. Durante la rotazione interna della tibia, il menisco interno non rischia niente. Durante la rotazione esterna della tibia, invece, è attirato verso il centro dell'articolazione e può provocare una lesione del legamento crociato anteriore. Questo spiega, da una parte, l'origine delle lesioni meniscali e, dall'altra parte, la più frequente sollecitazione del corno posteriore. 

Il secondo meccanismo di lesione del menisco interno è la flessione forzata del ginocchio. Qualunque persona, che ha già uno stadio di pre-artrosi o di inizio di artrosi e che si mette in flessione forzata del ginocchio, può, alzandosi, provocare uno strappo meniscale. 

È per questa ragione che l'età solita di tale tipo di lesione è verso i quarant' anni e che non esiste alcuna lesione legamentosa sopraggiunta, al contrario del meccanismo precedente, dove la rotazione può provocare una lesione del legamento crociato anteriore. 

Uno shock diretto sul lato interno del ginocchio non determina praticamente mai una lesione meniscale. Se lo shock è dal lato esterno, non c'è lesioni meniscale  esterna, ma ci può essere una lesione del menisco interno a causa del contraccolpo. 

Per quello che riguarda la sintomatologia, le lesioni anatomiche e la sintomatologia si evolvono simultaneamente. Con un'anamnesi precisa, si debba, non solo fare una diagnosi di lesione meniscale interna senza artrografia, ma si debba anche fare la diagnosi del grado di lesione, sia che si tratti di una striscia o di una linguetta oppure di una lesione di tipo 1 o di tipo 2. 

Si può arrivare con un ragionamento di una semplicità estrema ad una diagnosi anatomica precisa. Lo illustra l'esempio che segue: si tratta di un paziente che ha subito un incidente di torsione con un dolore interno e un travaso sinoviale. Ha impiegato quindici giorni per ristabilirsi poi, giocando a pallone, è stato vittima di un nuovo incidente di rotazione. Da quel momento, ad ogni incontro calcistico, talvolta diverse volte durante lo stesso incontro, ha accusato sia dolori interni, sia un blocco più o meno passeggero, sia un idrartro passeggero, sia un'instabilità. Questo paziente è passato dallo stadio dello strappo meniscale semplice (poiché aveva solo dolori), allo stadio di rottura longitudinale poiché presenta dei blocchi. Se non si operasse e se si avesse la possibilità di vedere questo paziente nel periodo terminale, direbbe: "Da sei mesi o un anno, non ho più blocchi, ma ho ancora dolori interni, idrartro ed instabilità".  È evidente che ha rotto il menisco nella parte anteriore, posteriore, oppure in mezzo. 

Per quello che riguarda la diagnosi clinica differenziale tra una fessura orizzontale e una fessura verticale, si precisa: "Quando esiste una fessura verticale e uno spostamento del menisco, il condilo si trova all'interno della fessura e la trasmissione delle pressioni si effettua direttamente dal femore alla tibia. Questi pazienti hanno semplicemente un blocco leggero, ma non presentano zoppia. Invece, se esiste una fessura orizzontale o molto obliqua, ci sarà sempre un ostacolo che si interporrà tra il femore e la tibia e, di conseguenza, ogni volta che il paziente metterà un piede a terra, avrà per forza una zoppi a o un passo insicuro. Quando si interroga un paziente, bisogna chiedergli: “Lei zoppicava mentre il suo ginocchio non si poteva estendere?”. Se risponde  di si, si può affermare che esiste una fessura orizzontale. In questi casi ci sarà una differenza, durante il blocco, nel grado di flessione del ginocchio: se la flessione è importante, si può dire che si tratta di una grande fessura. Se il ginocchio si blocca a 20 o 25 gradi, si può affermare che la fessura si ferma vicino al legamento collaterale mediale". 

Per le fessure trasversali posteriori il segno del cassetto, con il ginocchio flesso a 90 gradi, è determinante. 

Ogni volta che siamo di fronte ad una lesione del menisco interno corredata di una lesione del crociato anteriore, bisogna sempre esaminare il menisco esterno. 

Classificazione anatomica 

Questa classificazione è limitata al menisco interno. Solo la costanza della morfologia e della fissazione del menisco interno permette di stabilire un sistema coerente nel meccanismo e nell'evoluzione delle lesioni. 

Dal lato esterno il menisco è troppo variabile nella sua forma, troppo indipendente rispetto all'apparato capsulo-legamentoso, perché lo stesso trauma vi riproduca le stesse lesioni. Il polimorfismo delle lesioni esterne ha finora diffidato di ogni tentativo di classificazione anatomica, che comporti una corrispondenza clinica. 

Caratteri delle lesioni meniscali 

A causa della struttura istologica del menisco, la lesione meniscale è sempre una fessura antero-posteriore. 

La fessura risiede sempre nel tessuto meniscale. 

Un carattere comune delle lesioni meniscali interne è quello evolutivo. 

Evoluzione anatomica 

Stadio 1

Si tratta di un primo incidente. La fessura si estende dal corno posteriore intatto al margine posteriore del legamento collaterale mediale. Il menisco è relativamente fisso. 

Stadio 2 

Per mezzo dell'azione dei traumi successivi, la fessura iniziale può estendersi in avanti ed arrivare a livello del margine anteriore del legamento collaterale mediale. La piccola striscia meniscale dello stadio 1 diventa allora una striscia molto più lunga, in grado di lussarsi nell'incisura inter-condiloidea: è la classica rottura longitudinale (ad ansa), lesione meniscale più frequente. 

Stadio 3

La fessura longitudinale dello stadio 2 può ancora prolungarsi in avanti per formare una grande striscia meniscale che va dal corno anteriore al corno posteriore. Tale striscia meniscale rimane sempre nell'incisura inter-condiloidea. 

Forma che deriva dallo stadio 1

L'evoluzione della fessura iniziale si può anche fare posteriormente e interessare il corno posteriore. La striscia meniscale dello stadio 1 diventa una linguetta fissata da un peduncolo anteriore che rende mobile una parte del corno posteriore. Questo stadio deriva direttamente dallo stadio 1 a causa dell'accentuazione della lesione sul corno posteriore. 

Forma che deriva dallo stadio 2

La striscia meniscale lunga e mobile dello stadio 2, passando con forza ogni tanto tra il condilo e la tibia, può diventare più sottile e rompersi. Il suo punto di rottura solito si trova dietro nell'85% dei casi, liberando gran parte del corno anteriore. 

Relazioni anatomo-cliniche 

La grande striscia meniscale a forma di ansa dello stadio 2 può scivolare all'interno dell'incisura inter-condiloidea. In posizione lussata costituisce, sul piatto tibiale, una cinghia trasversale che limita l'avanzata del condilo nell'estensione. Questo difetto di estensione, mentre la flessione resta normale, costituisce il blocco meniscale vero, sintomatico dello stadio 2.

Sul piano clinico, quando si tratta di una fessura verticale (stadio 2), si assiste ad un difetto di estensione ma la flessione rimane normale. Quando si tratta di una fessura molto obliqua, quasi orizzontale, una zoppia caratteristica si associa al deficit di estensione. 

Lo stadio 2 può dare un'instabilità associata al blocco e un'instabilità senza blocco è evocatrice di una linguetta meniscale. 

Nelle lesioni meniscali, l'instabilità è dovuta ad un'interposizione transitoria del tessuto meniscale tra il condilo e la tibia. 

Allo stadio 3, la grande striscia meniscale non disturba più il rotolamento del condilo sulla tibia. Rimane sempre nell'interlinea. Non esiste più blocco e siamo allo stadio della falsa guarigione clinica. 

La caratteristica più importante dello stadio 1 è che non c'è mai stato vero blocco nei precedenti episodi. 

Diagnosi clinica 

La diagnosi clinica di una lesione traumatica del menisco interno si basa soprattutto sui dati dell'indagine. 

Si tratta spesso di un uomo tra i 20 e i 35 anni, sportivo, che va in visita medica a causa di disturbi cronici a livello del ginocchio. Le lesioni meniscali sono più rare nelle donne che presentano il più delle volte una sublussazione della rotula. È eccezionale vedere una lesione meniscale interna prima dei 15 anni. 

Le modalità del trauma sono rivelatrici: 

Rotazione esterna forzata della tibia, 

Distorsione con abduzione forzata, 

Estensione dopo flessione forzata e prolungata. 

La circostanza più frequente è la distorsione del ginocchio in rotazione esterna, forzata della tibia, su un ginocchio semiflesso in appoggio su un piede. 

L'incidente in estensione, dopo flessioni forzate e prolungate, è più raro: dopo la flessione forzata e prolungata, il corno posteriore del menisco si fissa in dietro. Durante l'estensione, non segue il movimento generale del menisco. Ne risulta una fessura meniscale subito allo stadio 2 con blocco. 

Quando il ginocchio è semiflesso, la palpazione, schiacciando l'interlinea con il pollice, localizza un punto doloroso interno. 

Bisogna distinguere bene questi dolori dell'interlinea, orizzontali, dai dolori verticali situati lungo il margine interno della rotula, che fanno pensare ad una lesione rotulea, e dai dolori situati sul percorso del legamento collaterale mediale, soprattutto a livello delle sue inserzioni, che sono propri di una lesione legamentosa. 

Il travaso articolare è spesso presente, senza arrossamento, né calore, né ispessimento peri-articolare. 

Il paziente ha la sensazione che il suo ginocchio si sloghi "Ho un nervo che salta", "Ho una pallina nel ginocchio" 

È raro constatare clinicamente il blocco che si riscontra più spesso nell'indagine. 

L'instabilità si manifesta in particolare quando si scendono le scale o quando si cammina su un terreno accidentato "Il mio ginocchio cede"  

L'assenza di sintomo tra le recidive è un segno clinico importante. 

L'amiotrofia del quadricipite sarà ricercata. 

Dati radiologici 

Generalmente, la radiografia semplice non mostra niente, ma permette di riconoscere i corpi estranei di origine rotulea e quelli dovuti all'osteocondrite. Talvolta è possibile constatare un' ossificazione parziale del legamento collaterale mediale o malattia di PELLEGRINI STIEDA, esiti di una vecchia distorsione. 

Martedì, 20 Dicembre 2016 10:14

Lesione meniscale esterna

LESIONE MENISCO

Non esiste alcun paragone possibile tra lo studio anatomico, fisiopatologico e clinico delle lesioni del menisco esterno e quelle del menisco interno. La varietà delle lesioni del menisco esterno è molto vasta e non dipende dalla qualità del trauma. Alcuni menischi esterni presentano un corno anteriore molto voluminoso e un corno posteriore molto sodo. Questo grosso corno si chiama anche "il mega-corno anteriore". Esiste soprattutto nelle persone che camminano con i piedi in dentro e negli sportivi che presentano una tibia leggermente vara e una rotazione interna del ginocchio. Tuttavia, il contrario può esistere e si può vedere un grosso corno posteriore e un corno anteriore debole. 

Nel 50, 60% dei casi, le lesioni del menisco esterno sono paragonabili a quelle del menisco interno. 

Per quello che riguarda le cisti, in tutti casi di lesioni cistiche c'è sempre, una lesione meniscale. 

Nella lesione meniscale esterna, il dolore è sempre esterno, l'idrartro è di origine meccanica e il blocco dell'estensione è raro. Ci può essere un'instabilità, un'impressione di disturbo all'interno dell'articolazione e, infine, riguarda soggetti più giovani. 

Quando si fa una meniscectomia interna, si può dire ad uno sportivo che potrà giocare di nuovo dopo uno o due mesi. È molto diverso con il menisco esterno da cui alcuni pazienti sono guariti dopo sei mesi. Appena riprendevano l'allenamento, avevano un ginocchio grosso; questo dimostra la grande importanza del menisco esterno dal punto di vista fisiologico e fisiopatologico. 

Il menisco esterno è il menisco più largo e più mobile. 

Patologia 

Gli strappi longitudinali e verticali 

Sono le lesioni tipo del menisco interno che si verificano solo raramente sul menisco esterno. La lesione è stata causata da un movimento di flesso-rotazione interna della tibia o da una lesione forzata di tipo minore. 

La grande motilità del menisco esterno fa sì che la lesione primitiva non succede solo dietro allegamento collaterale laterale, ma può esistere di fianco o davanti ad esso sul corno anteriore. Questa forma può crescere fino ad arrivare ad una tipica rottura longitudinale. È invece raro vedere questa fessura orizzontale. 

Le linguette 

Rappresentano il 4% dei casi. 

Gli strappi trasversali e verticali 

Sono eccezionali sul menisco interno ma si ritrovano nell'8% dei casi sul menisco esterno. Risiedono spesso nella parte media e dividono il menisco in due porzioni anteriore e posteriore. Sono dovuti ad un trauma diretto della faccia esterna del ginocchio. Esso crea un'abduzione dell'articolazione; il condilo viene a comprimere il menisco contro la faccia d'appoggio tibiale. 

I menischi anomali 

Rappresentano il 34,6% dei casi. 

Sotto la rubrica "menischi anomali", si classificano le malformazioni classiche  e le anomalie di fissazione dei menischi: 

I menischi discoidali: 

il menisco primitivo 

il menisco intermediario o sub-totale 

il menisco a forma di "O". 

I menischi a grossi corni anteriori o posteriori. 

I menischi inseriti male :

I menischi con distacco posteriore. 

I menischi mobili in modo anomalo. 

Le lesioni degenerative:

Rappresentano circa il 10% dei casi. 

- Le cisti, 

- I menischi sclerotici, 

- I menischi laminati, 

- Le altre lesioni, 

- I neo-menischi. 

Studio clinico 

Prima dei quindici anni, sono lesioni poco frequenti. Il bambino andrà in visita medica per "un ginocchio che salta". Prima dei cinque anni, si tratta spesso di un menisco discoidale. 

Tra i 12 e i 16 anni, sono soprattutto lesioni causate da cisti; i bambini si recheranno dal medico perché la tumefazione preoccupa i genitori. 

Tra i 12 e i 15 anni, le turbe articolari sono soprattutto costituite da fenomeni di blocco dell' estensione generalmente dovuti a lesioni causate da malformazioni, menisco discoidale essenzialmente. 

Nella maggioranza dei casi si tratta di un adulto giovane, sportivo, che, durante un incontro di calcio, ha subito un trauma del ginocchio. Bisogna precisare la natura di questo trauma, la sua intensità, l'evoluzione dei sintomi e sapere se questo paziente ha potuto continuare a giocare. 

Il dolore risiede quasi sempre dal lato esterno e può essere provocato dalla pressione diretta a livello della parte anteriore dell'interlinea articolare. Tuttavia, quest'elemento ha poco valore perché, essendo inserito male il menisco, il dolore percepito è un dolore riferito. Questo spiega la sede atipica; è spesso localizzata nella parte media o anteriore dell'interlinea esterna, ma può ugualmente trovarsi dietro il cavo popliteo. 

L'idrartro è particolarmente frequente. 

Il blocco dell'estensione è più fugace di quello del menisco interno. Si risolve spesso spontaneamente. 

Lo "scatto" è considerato come caratteristico delle lesioni del menisco esterno; il paziente ha l'impressione, durante i movimenti di flesso-estensione, che il suo ginocchio trovi un fermo, poi lo superi liberandosi. 

L'impressione di cattivo funzionamento interno dà al paziente la sensazione che il ginocchio si sloghi. 

Spesso si percepisce un'instabilità. 

Il test di Mac MurrayY, applicato al menisco esterno, si effettua con il paziente in decubito dorsale, ginocchio flesso e piede girato in rotazione interna. In questa posizione, si estende la gamba sulla coscia e il paziente può percepire un dolore. Talvolta, il medico sente uno scatto. 

Per il "GRINDING- Test", con il paziente in posizione prona, gamba flessa, si impugna il piede che si trova alla verticale e si schiaccia sopra in modo da comprimere il menisco tra il condilo e la tibia. Dopo, si esercitano movimenti di rotazione interna del piede che possono svegliare il dolore. 

La palpazione ricercherà una tumefazione e valuterà un'eventuale amiotrofia. 

Per rendere più precisa la diagnosi delle lesioni meniscali esterne, non bisognerà ignorare tutta la patologia osteopatica di questa regione. 

Martedì, 20 Dicembre 2016 09:56

L’identità mancante

identity

La mancanza di una chiara definizione di medicina osteopatica e una identità non unificante per gli osteopati è sempre stato un problema enorme per la nostra specializzazione, infatti tutto ciò è stato etichettato come "il paradosso dell’osteopatia". 

In un editoriale che è stato pubblicato in combinazione con una ricerca originale pubblicata dal New England Journal of Medicine sull'uso del trattamento manipolativo osteopatico (OMT) per la lombalgia, Joel D. Howell, MD, PhD, ha sfidato la professione medica osteopatica a fare una vera distinzione tra l’osteopatia stessa e le altre professioni sanitarie in relazione proprio alla ricerca inerente alla cura della lombalgia con tecnica osteopatica.

Nel suo editoriale, Howell ha suggerito che la direzione che si sarebbe rivelato più fruttuoso e robusta per la professione in supporto alle  sue affermazioni di unicità sarebbe una dimostrazione del valore della terapia che è nettamente osteopatica e non si identifica con altre pratiche manuali. 

Howell predice che la sopravvivenza a lungo termine della medicina osteopatica dipenderà dalla sua capacità di definire completamente un tratto distinto marcatamente osteopatico, ma che a tutt’oggi ancora equivalente alla medicina allopatica. Egli ha inoltre affermato che una difesa delle tecniche univoche della medicina osteopatica dovrebbero essere articolate non in termini teorici, ma attraverso trattamenti scientificamente provati con dati alla mano.

Sul JAOA giornale ufficiale dell'Associazione Osteopatica Americana, diversi colleghi hanno proposto un nuovo approccio ai principi osteopatici  per la cura dei pazienti con la speranza di promuovere la discussione e generare così tesi supplementari per definire il carattere distintivo della medicina osteopatica.

Poco dopo, sono stati pubblicati tre articoli, due di essi descrivono le componenti principali della pratica della medicina osteopatica, che differiscono da quella dei nostri colleghi allopatici. Solo uno di questi articoli parla dell’uso dell’OMT,  ma non è stato allegato nessuno studio dei risultati clinici ottenuti sui benefici della stessa.

Ci sono stati anche due nuovi libri di medicina osteopatica, uno di questi libri è un rapporto di studiosi che si basa sulla precedente analisi della medicina osteopatica, l'altro è una proposta per l'applicazione della teoria in campo pratico per definire l’osteopatica una medicina al pari di quella ufficiale ma nettamente differente sia come approccio al paziente che come pratica clinica.

Vorrei suggerire che tutte le discussioni riguardanti l'identità e le caratteristiche distintive dell’osteopatia medica come professione, potrebbero essere raggruppati in base a tre scuole di pensiero:

1) Fondamentalista: trattamento manipolativo,  già di per sufficiente per definire la funzione e l’identità della medicina osteopatica.

2) Tradizionale: I principi della medicina osteopatica, descritta per la prima volta nel 1922  e successivamente rivisti nel 1953 e successivamente nel 2002, costruire le basi sulle prime definizioni della pratica osteopatica e aggiornare la pratica attraverso case study dei medici osteopati professionisti, pubblicazioni, e ricerche.

3) Progressisti: Proporre per il futuro della medicina osteopatica, formulazioni personali che non devono come al solito basarsi sulla storia della professione e la pratica dei modelli tradizionali. Le nuove proposte devono basarsi su tematiche teoriche che possano esprimersi totalmente nella pratica clinica (ad esempio, la teoria del campo unificato per l'assistenza sanitaria).

Si può affermare che la visione fondamentalista dell'osteopatia è quello scelto da molti medici osteopati, ed è frequentemente invocata da coloro al di fuori della professione osteopatica, di definire l’osteopatia come pratica OMT. La realtà è che la pratica della medicina osteopatica ha sempre minimizzato al massimo l’uso dell’OMT. Infatti la rivista ha pubblicato i risultati degli studi basati su indagini statistiche che indica che un numero relativamente piccolo di osteopati utilizzano OMT per trattare i loro pazienti.

Il punto di vista tradizionale si basa su importanti prese di posizione e dichiarazioni autorevoli che ritroviamo all'interno della professione medica osteopatica nel corso degli ultimi 80 anni . Tuttavia, i sostenitori di questo approccio devono prontamente ammettere che tali documenti , per quanto ben intenzionati, non hanno generato un dialogo nazionale, né state ampiamente adottate all'interno della professione stessa.

Il punto di vista progressista, più recentemente articolato da McGovern e McGovern  dimostra una  filosofia e una teoria destinata a fornire un nuovo paradigma e una nuova direzione alla medicina osteopatica.

Una univoca identità per la medicina osteopatica ad oggi non è fonte e nemmeno programmazione di qualunque discussione o argomento tra i gruppi fondamentalisti, tradizionalisti o progressisti. Anche se si potesse programmare tra qualche anno qualcosa del genere, la dominanza di una scuola di pensiero non potrebbe stabilire l'identità né giustificare l'esistenza di un nuovo paradigma della medicina osteopatica al mondo esterno e sopratutto ai governi federali e statali, alle assicurazioni, alle comunità mediche e scientifiche in generale e, soprattutto, ai nostri pazienti.

Il carattere distintivo della medicina osteopatica sarà chiaro quando i progressi della formazione medica osteopatica e le pubblicazioni scientifiche dimostreranno che l’intero iter perseguito dalle tre scuole di pensiero alla fine risulteranno allo stesso tempo fondamentali per i primi anni di studio, mantenendo quelle tradizioni che la materia stessa ci impone, ma facendo progressi con nuove metodologie di intervento; Un utopia?

Sara il tempo come sempre a fornirci una volta per tutte l’identità che questa professione merita di avere, per oggi ci basta,  che la professione soddisfi la cartina di tornasole per avere una riforma della materia concentrandoci sui risultati del trattamento che deve principalmente dimostrare di saper far fronte alle importanti questioni di salute pubblica del mondo di oggi, nel contempo, due aree di attività devono essere perseguite sempre:

1)la ricerca scientifica.

2)la pratica clinica.

Martedì, 20 Dicembre 2016 09:48

La bioenergetica e l’osteopatia

Bioenergetica

Perché parlare di bioenergetica in un blog di osteopatia, certamente per il fatto che essendo l’osteopatia una disciplina olistica abbraccia tante materie, ma la bioenergetica ci appartiene intimamente in quanto, Still affermava e tutt’oggi condiviso dalla comunità osteopatica che 4 sono i principi chiave della filosofia osteopatica:

1)il corpo è un’unità; la persona è unità di corpo, mente e spirito.

2)il corpo è capace di auto-regolazione, di auto-guarigione e di conservazione della salute.

3)la struttura e la funzione sono in relazione reciproca.

4)una terapia razionale poggia sulla comprensione dei principi di base dell’unità del corpo, dell’auto-regolazione e dell’interrelazione di struttura e funzione.

La salute è il conseguimento adattabile e ottimale del benessere fisico, mentale, emotivo e spirituale, si basa sulla nostra capacità di affrontare, con riserve adeguate, gli stress abituali della vita quotidiana e gravi stress occasionali dagli eccessi dell’ambiente, infatti è proprio l’ambiente che determina il concetto energetico, la bioenergetica ne studia le reazione che generano energia biologica.

Il concetto di energia è alla base di tutte le patologie che si presentano ed è la stessa energia che ci permette l’auto-guarigione e l’auto-regolazione e ci pone in una condizione di omeostasi, ma  se tale equilibrio energetico si sposta, ecco che si presentano i problemi, allo stesso tempo il concetto di energia è la base della vita stessa sia per il nostro pianeta che per coloro che lo abitano.

Il concetto di energia libera invece, ci spiega come l’accoppiamento di una reazione termo dinamicamente sfavorevole, con un’altra termodinamicamente favorevole può consentire lo svolgimento di tutte le reazioni che risultino utili per la cellula e per tutti gli organismi terrestri.

Senza entrare troppo nel merito definiamo un sistema chiuso un insieme di molecole e materia senza scambi di energia con l’esterno, questo sistema possiede una certa quantità di energia che può essere distribuita in vari modi, per esempio: 

1)formando legami fra atomi e molecole

2)trasformandosi in energia traslazionale 

3)trasformandosi in energia vibrazionale 

4)trasformandosi in energia rotazionale

ma queste trasformazioni energetiche-meccaniche tendono ad aumentare gli scontri particellari che a loro volta creano calore, bene questo è il punto fondamentale il calore, tendenzialmente per il bene dei sistemi biologici il calore se eccessivo deve essere disperso verso l’ambiente esterno, ma se il sistema è chiuso non dovrebbe scambiare niente con l’esterno altrimenti dovremmo parlare di sistemi interscambiabili.

Bah?

Ritorniamo al calore, che fine fa se effettivamente il sistema è chiuso?

Semplice (secondo la bioenergetica) il calore viene assorbito dall’ambiente esterno ossia dall’universo, infatti la bioenergetica ci dice che il totale dell’energia dell’universo non aumenta, non diminuisce e non è misurabile, ma una cosa è certa, il suo livello è sempre costante (forse non è cosi certo, vedi surriscaldamento globale), bene se è vero questo viene da pensare che il tutto accade anche in sistema chiuso in quanto vale lo stesso principio, ma visto che nei sistemi biologici la pressione e il volume delle cellule sono pressoché costanti (e sappiamo il perché), possiamo dire che il cambiamento di energia associato a qualsiasi trasformazione chimico-fisica, sarà uguale al calore trasferito in tale trasformazione, a questo punto se una reazione rilascia calore all’esterno la definiremo esotermica, al contrario se la reazione assorbe energia la definiremo endotermica, quindi comunque la mettiamo il calore è la costante primaria, possiamo dire che l’equilibrio energetico corrisponde al 50%, ma visto che il calore tende a influenzare i moti delle molecole, l’equilibrio energetico corrisponde anche ad una situazione di maggior disordine, bene, ma sappiamo che questo non è possibile in un sistema biologico chiuso come le cellule che tendenzialmente crea un equilibrio energetico in grado di mettere ordine all’interno della cellula stessa e ad i fuori di essa ma restando sempre all’interno di un sistema chiuso, e facile a questo punto affermare che i sistemi biologici per mantenere quest’ordine interno, contribuiscono ad aumentare il disordine nell’ ambiente.

Siamo più chiari, si suole dire che gli organismi viventi e la vita si oppongono al secondo principio della termodinamica, perché cercano di mantenere un certo grado di ordine al loro interno.

Quindi l’organizzazione interna della cellula sussiste a spese del grado di disordine o del calore emesso nell’ambiente esterno, cioè nell’universo, possiamo dire che noi siamo la causa dei nostri stessi mali, il disordine ambientale tende ad aumentare ancora di più con le conseguenze che stiamo vedendo, ma all’inizio dell’articolo abbiamo detto che l’energia dell’universo non aumenta e non diminuisce  e non è misurabile.

Bah?

Faccio filosofia e tendo a evidenziare ciò che la bioenergetica ci dice in merito alle trasformazioni di energia nei sistemi biologici, ossia che i prodotti che hanno un livello energetico inferiore associandoli a prodotti che hanno livelli di energia superiori, creano un riequilibrio del sistema chiuso e rendono favorevoli le reazioni interne al sistema stesso, ma questo ci riporta la punto di partenza, per cui il tutto si riversa nel disordine ambientale esterno.

Bah?

Martedì, 20 Dicembre 2016 09:43

La retroversione uterina - Segni clinici -

Anomalia molto frequente che si riscontra molto  spesso nel periodo della pubertà, nella nullipara e nella primipara, la retroversione può essere primaria, congenita o acquisita, può essere associata ad una retroflessione, e diventare una retro deviazione uterina in seguito a un drenaggio venoso difettosi e uno stato congestizio pelvico il quale favorisce la retroversione, oppure a una gravidanza che comporta la sofferenza del sistema sospensorio dell’utero, un parto troppo rapido (perfusione acceleratrice), o troppo lento (intervento strumentale), ancora, un parto traumatico, un aborto spontaneo, ipotonia dei legamenti rotondi e utero-sacrali, una lesione sacrale bilaterale anteriore o un sacro depresso.

Questa ultima lesione si organizza su un asse trasversale che passa per S2, ne deriva che S1 e S2 occupano una posizione anteriore e S3, S4 e S5 una posizione posteriore e prominente, si assiste ad un rilasciamento delle inserzioni su S1 e S2 dei legamenti utero-sacrali , che favorisce così un eventuale retroversione uterina.

Nell’anatomia patologica l’utero retroverso si mostra violaceo, molle, congestionato e affonda nella sierosità, i legamenti rotondi sono ipotonici, le tube sono striate e le ovaie spesso sono prolassate nel fondo della cavità di Douglas.

I segni clinici possono essere asintomatici, ma quando compaiono si possono spiegare, con la compressione da parte del’utero sulle strutture circostanti, dalla mobilità del sistema sospensorio, dalla coesistenza di uno stato congestizio pelvico, nonché da sovrastrutture associate.

Il dolore non è costante, la sua topografia e la sua intensità sono variabili e generalmente avvertito a livello lombare, lombo-sacrale, sacro-coccigea, addominale o ipogastrica.

Venerdì, 15 Luglio 2016 09:24

Tecnica Naprapathy

A causa di svariate polemiche per quanto riguarda la sicurezza dell' uso di manovre in alta velocità, bassa ampiezza (HVLA) per la manipolazione spinale su pazienti con dolori al collo e alla schiena, alcuni ricercatori in Svezia hanno progettato un innovativo studio clinico randomizzato (RCT) in una scuola di osteopatia dove agli studenti è stato insegnato il metodo Naprapathic Manual Terapy (NMT). Naprapathy è una professione sanitaria registrata, ed è la più grande professione di terapia manuale in Svezia. Nata a Chicago, Illinois, nel 1907 da Oakley Smith, DC, DN, la Naprapathy è un, sistema di diagnosi e trattamento manuale che prevede l'utilizzo di una combinazione di tecniche manuali come la manipolazione spinale, la mobilizzazione, lo stretching e il massaggio per trattare i tessuti molli e il connettivo, il metodo è stato elaborato e messo a punto per essere utilizzato nelle più comuni condizioni di dolore muscolo-scheletrico, in alternativa alle manovre HVLA.

Il Journal of the American Osteopathic Association luglio 2016 , vol. 116, 488-489. Doi: 10,7556 / jaoa.2016.097

Giovedì, 16 Giugno 2016 15:23

Tecnica periostale

In tanti ci hanno chiesto in cosa consiste la tecnica periostale, bene il periostbehandlung, è una tecnica di massaggio ritmico applicato alle prominenze ossee del corpo, viene applicata una pressione a onde per 2-4 minuti, ogni mezza onda di pressione sia essa in aumento o in diminuzione dura 4-10 secondi.

Si preme con un dito o con le nocche sul periostio, vicino alle aree dolorose, la pressione viene applicata su piccole zone circolari del diametro di 5 mm, la pressione del massaggio progredisce dalla periferia verso il centro della dolenzia periostale, si ritiene che il meccanismo di sollievo sia dovuto ad alterazioni riflesse vasomotorie.

L'aumento del dolore indotto dal terapista durante il trattamento aiuta in seguito a controbattere il dolore originale, come nelle analgesie da iperstimolazione descritte da Melzack.

Venerdì, 10 Giugno 2016 11:20

Osso Ioide e la falsa malocclusione

Ioide

Un semplice screening fatto da un osteopata può correggere se non eliminare del tutto uno squilibrio dettato dai muscoli che sostengono l’osso ioide, che all’apparenza potrebbe sembrare una malocclusione, in molteplici casi la collaborazione tra osteopatia e odontoiatria diventa il binomio perfetto per un risultato eccellente sul paziente, non dimentichiamoci che molte lesioni craniche (osteopaticamente parlando) sono in relazione a un disturbo muscolare reattivo dei muscoli masticatori derivante da uno o più muscoli che sostengono l’osso ioide, infatti in condizione d’ equilibrio neuromuscolare dello iodeo, tutte le lesioni craniche sono totalmente assenti, viceversa quando sono presenti lesioni craniche, i muscoli che sostengono l’osso iodeo sono in disfunzione, di conseguenza la regione dell’apparato stomatognatico che include l’articolazione temporomandibolare (ATM) tende a disfunzioni paragonabile a malocclusione che in apparenza dovrebbero essere corrette da un dentista, proprio in questo quadro di difficile valutazione c’è il bisogno da parte del professionista in odontoiatria di rivolgersi all’osteopata che in via preventiva può controllare in maniera esatta l’ipo/ipertorfia o contrazioni muscolari, nonché i movimenti sequenziali dei muscoli reattivi che possono creare una falsa malocclusione, di conseguenza correggere le disfunzioni ed evitare al paziente ulteriori conseguenze che possono implementare problematiche di tipo strutturale.

Infatti la correzione da parte del dentista di una falsa malocclusione da osso ioide, porta immediatamente:

  1. Perdita della dimensione verticale
  2. Aumento della dimensione verticale

Nel primo caso, l’eccessiva riduzione della dimensione verticale provoca uno spostamento verso l’alto del condilo nella fossa articolare durante l’occlusione centrica, questo provoca un alterazione della dinamica dell’ATM e del rapporto tra la zona stomatognatica  e tratto cervicale.

Nel secondo caso, l’aumento della dimensione verticale interagisce con lo spazio libero, l’aumento e talmente eccessivo che i denti rimangono in occlusione, in quella che dovrebbe essere invece la posizione riposo fisiologica, l’aumento della dimensione verticale è quasi sempre provocato da ricostruzioni dentali, protesi dentarie fisse o mobili e specialmente da bite che si intromettono nello spazio libero.

La perdita di funzionalità dell’osso ioide, ha un notevole impatto sulle lesioni craniche e sull’ATM, in quanto i muscoli ioidei superiori vengono generalmente considerati elevatori, mentre quelli inferiori spostano verso il basso lo ioide e lo rendono stabile, infatti il muscolo digastrico contribuisce ad abbassare la mandibola, il miloioideo innalza la base della bocca, mentre il genioioideo e lo stiloioideo determinano la lunghezza del pavimento della bocca, da notare che il ventre anteriore del digastrico è attivo nell’apertura della bocca e che questo muscolo è estremamente importante nell’apertura massima della stessa, dato che lo ioide viene reso stabile principalmente dall’ azione muscolare, pare ovvio la necessità che altri muscoli agiscano da stabilizzatori per consentire al ventre anteriore del digastrico di funzionare efficacemente nell’ apertura della bocca, il ventre posteriore del digastrico e lo stiloioideo, per bloccare lo ioide posteriormente, i muscoli sottoioidei quali lo sternoioideo e l’omoioideo, stabilizzano lo ioide inferiormente, la sinergia di tali muscoli mostra un miglioramento funzionale dell’ATM a seguito di una normalizzazione osteopatica sulla muscolatura ioidea.

Un intervento da parte del professionista odontoiatra in una falsa malocclusione da osso ioide porterebbe non solo una problematica all’apparato stomatognatico ma conseguentemente a lesioni craniche (osteopaticamente parlando) nonché a dolori al collo e alle spalle, i muscoli posturali del collo vengono gravemente squilibrati con conseguenti sublussazioni della colonna cervicale e distorsioni del cingolo scapolare che possono causare una compressione neurovascolare a livello toracico.

Ebbene dire che rispetto al passato tanti professionisti in odontoiatria collaborano in sinergia con gli osteopati e che tanti osteopati fanno altrettanto, nel rispetto esclusivamente del paziente. 

Lunedì, 07 Marzo 2016 10:00

Osteopatia e vitamine

vitamine

Le sostanze nutrienti di particolare importanza nei pazienti con una sindrome algica miofasciale sono le vitamine idrosolubili B1, B6, e B12, l'acido folico, la vitamina C ed alcuni elementi, in particolare il calcio, il ferro ed il potassio. Verrano considerati singolarmente, dopo alcuni commenti generali. Tratterremo a lungo delle vitamine poichè sono cosÌ importanti per il trattamento della sindrome del dolore mio fasciale, di conseguenza nel contesto dell’osteopatia hanno un rilievo particolare. Quasi metà dei pazienti che vediamo con un dolore miofasciale cronico dopo un trattamento osteopatico necessita, per un sollievo prolungato, di una correzione anche delle inadeguatezze vitaminiche. La complessità di questo argomento va di pari passo con la sua importanza. Questa complessità è aumentata dall'interdipendenza di alcune vitamine, dalle variazioni individuate dei sistemi enzimatici umani, e dalla variabile risposta degli individui alle alterazioni metaboliche. Sebbene i fattori nutrizionali non siano menzionati negli studi osteopatici, essi devono essere considerati nella maggioranza dei pazienti se si vuole ottenere un durevole sollievo del dolore nel tempo.

Una vitamina è una sostanza nutritiva che ha un ruolo essenziale nel normale metabolismo corporeo come coenzima di un enzima, ma non è sintetizzata dal corpo. La necessità di una migliore nutrizione vitaminica può manifestarsi a 3 livelli: 

1)insufficienza vitaminica

2)carenza vitaminica 

3)dipendenza vitaminica. 

Un apoenzima che richiede come coenzima una vitamina di cui vi è carenza sarà meno alterato se l'apoenzima ha un alta affinità per la vitamina. I sistemi enzimatici nei quali tale affinità è bassa possono essere quasi completamente inattivati anche da una limitata carenza vitaminica  con l'aggravarsi della carenza, anche le reazioni enzimatiche dipendenti dalla vitamina con maggiore affinità, cesseranno di funzionare. In generale, le reazioni più essenziali per la vita tendono ad essere eliminate per ultime. 

L'insufficienza delle vitamine richiede al corpo di effettuare qualche grado di correzione metabolica perchè la quantità di coenzima (vitamina) è limita. Il paziente con un livello vitaminico sierico ai limiti inferiori al "normale" può non mostrare alcuna evidenza metabolica di carenza, ciò nonostante tale livello vitaminico può essere inadeguato per una salute ottimale. Le sindromi algiche miofasciali sono aggravate proprio da livelli inadeguati di almeno quattro vitamine del complesso B, elencate sopra. 

Apparentemente un inadeguato livello vitaminico aumenta il dolore miofasciale con vari meccanismi: diminuzione del metabolismo energetico necessario per la contrazione dei muscoli ed aumentata irritabilità del sistema nervoso. I muscoli si comportano come se il meccanismo neurale di feedback che perpetua il dolore sia aumentato, ed i fenomeni proiettati siano intensificati. 

L'insufficienza vitaminica diventa una carenza quando gli effetti dovuti ad un’ alterata funzione degli enzimi essenziali sono macroscopicamente evidenti, o quando l’insufficienza ha già gravemente coinvolto molte delle funzioni enzimatiche meno critiche. Una carenza vitaminica è accertata dai riscontri di laboratorio di livelli serici e tissutali bassi per tale vitamina, dall'esecrezione di prodotti anormali del metabolismo, e dall'effetto terapeutico di un supplemento vitaminico. 

Ci sono buone ragioni per aspettarsi che i normali livelli serici di vitamine non assicurino livelli ottimali di nutrizione. Le persone selezionate come controlli normali vengono raramente studiate alla ricerca dei sintomi più fini di insufficienza vitaminica, come sindromi di dolore cronico, crampi alle gambe, depressione o perdita di energia. Si è osservato che individui utilizzati come controlli normali avevano un'attività carente della transaminasi glutammico-ossalacetica (TGO) ed una carenza di piridossalosfato eritrocitario. In questo gruppo "normale", i depositi tissutali di tale vitamina erano scarsi, al punto di ridurre significatamente almeno una funzione enzimatica dipendente dal piridossale.

La questione della nutrizione vitaminica media verso quella ottimale acquista ulteriore significatività quando la disponibilità del coenzima vitaminico viene correlata con la produzione di uno di questi apoenzimi. Un'aumento del 55-68% dell'attività specifica della transaminasi glutammico-ossalacetica eritrocitaria dopo terapia con piridossina in 10 pazienti carenti di piridossina, indicò la biosintesi di una maggiore quantità di apoenzima in seguito a un adeguato apporto di coenzima. Il supplemento vitaminico può aumentare la produzione corporea degli enzimi attivati dalla vitamina. 

In un gruppo di 12 anziani che stavano prendendo 50-300 mg di piridossina quotidiana da almeno un anno, l'attività specifica della TGO eritrocitaria era notevolmente costante. Comunque, furono necessarie 5-11 settimane di supplemento di piridossina per raggiungere questo stesso livello in individui carenti di piridossina. 

La misura delle vitamine circolanti di per se scopre un'insufficienza vitaminica prima che appaiono i classici segni clinici e biochimici. Per esempio, l’acido ascorbico plasmatico scese a un livello non misurabile dopo 41 giorni di deplezione d'ascorbato, mentre i segni clinici dello scorbuto non comparvero prima di 134 giorni. Analogamente, con l'eliminazione del folato dalla dieta, sono bastate solo 3 settimane per avere dei livelli serici di folato molto diminuiti, ma sono occorse 14 -18 settimane perchè diventasse evidente un difetto biochimico, e 20 settimane perchè si sviluppassero i sintomi clinici. 

La dipendenza viene osservata solo in pochi individui con una carenza congenita di un dato enzima, che richiede tale vitamina come coenzima. Questo difetto può rendere necessaria l'ingestione di quantità farmacologiche, o "megadosi", della vitamina, per compensare la mancanza di tale enzima. 

Le 5 vitamine di particolare importanza per le sindromi algiche miofasciali sono le vitamine B1, B6, B12, acido folico e vitamina C. Questo non significa che le altre siano meno importanti per una salute ottimale, ma solo che sono meno critiche per il sollievo dai sintomi da dolori miofasciali, ogni vitamina copre molti ruoli metaboici, servendo come coenzimi essenziale per parecchi sistemi enzimatici. La vitamina B1 (tiamina) è estremamente critica come vitamina dell'energia e per la sintesi dei neurotrasmettitori, la necessità aumenta con l'aumentato consumo calorico. 

La vitamina B6 (piridossina) è essenziale per il metabolismo di molte proteine, inclusi parecchi neurotrasmettitori. 

Le cobalamine (forme della vitamina B12) sono critiche per i metabolismi energetico e proteico. Sia le cobalamine che i folati servono alla sintesi dell'acido desossiribonucleico (DNA), necessario per la replicazione cellulare. Una carenza o un eccesso di folati aumentano l'irritabilità del sistema nervoso centrale; quantità adeguate sono essenziali per lo sviluppo normale del sistema nervoso centrale. 

Baker H, Frank O: Vitamin status in metabolic upsets. World Rev Nutr Diet 9: 124-160, 1968.

Anderson CE: Vitamins, in nutritional support of medical practice, 1977.

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